Si può fare,

del venerabile Ajahn Chah

© Ass. Santacittarama, 2006. Tutti i diritti sono riservati.

SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA. 

Dal libro "Everything Is Teaching Us"

Traduzione di Chandra Livia Candiani.

 

Per favore, persuadete ora la mente ad ascoltare il Dhamma. Oggi è, secondo la tradizione, la giornata di dhammasavana. E’ una buona occasione per noi buddhisti per studiare il Dhamma e accrescere così la presenza mentale e la saggezza. Da molto tempo, diamo e riceviamo insegnamenti. Le attività usuali di questa giornata, cantare l’omaggio al Buddha, prendere i precetti morali, meditare e ascoltare gli insegnamenti, andrebbero intese come metodi e principi per lo sviluppo spirituale. Niente di più.

Riguardo ai precetti, per esempio, un monaco li recita e i laici fanno voto di seguirli. Non fraintendete però: in verità, l’etica non può essere data. Non la si può richiedere o ricevere da qualcun altro. Nel nostro gergo, si sente dire: "Il venerabile monaco ha dato i precetti" e "noi abbiamo ricevuto i precetti". Questo è il nostro modo di esprimerci qui in campagna e ha finito per diventare anche il modo comune di comprendere le cose. Se pensiamo in questo modo, che veniamo a ricevere i precetti dai monaci, nei giorni di osservanza secondo il calendario lunare e che se i monaci non ce li danno, non abbiamo moralità, allora dai nostri antenati abbiamo ereditato solo una tradizione d’illusione. Pensare in tal modo significa rinunciare alla propria responsabilità, non avere salda fiducia e convinzione in noi stessi. Va a finire che lo trasmettiamo anche alla generazione successiva e così anche loro vengono a ‘ricevere’ i precetti dai monaci. E i monaci finiscono per credere di essere coloro che ‘danno’ i precetti ai laici. Ma moralità e precetti non sono questo, non sono qualcosa che può essere ‘data’ o ‘ricevuta’, anche se in occasione di momenti di cerimonia per guadagnare meriti, la usiamo come una forma rituale tradizionale e utilizziamo questa terminologia.

In realtà, la moralità risiede nelle intenzioni. Se avete la determinazione cosciente di astenervi da azioni dannose e sbagliate del corpo e della parola, allora la moralità è presente dentro di voi. E’ dentro di voi che dovreste saperlo. I voti possono essere presi con un’altra persona. Ma potete anche concentrarvi da soli sui precetti. Se non sapete quali sono, chiedeteli a qualcuno. Non sono qualcosa di complicato o di remoto. Quindi, quando desideriamo veramente ricevere la moralità e il Dhamma, in quel preciso momento, li abbiamo. E’ come l’aria che ci circonda. Ogni volta che la respiriamo, la introduciamo in noi. Lo stesso accade con ogni forma di bene e di male. Se desideriamo fare il bene, possiamo farlo in qualsiasi posto e in qualsiasi momento. Da soli o insieme agli altri. Lo stesso vale per il male. Possiamo farlo in tanti o in pochi, di nascosto o apertamente. E’ così.

Queste cose esistono già. Per quanto riguarda la moralità, dovremmo considerarla un fatto normale che tutta l’umanità dovrebbe praticare. Una persona senza moralità non è diversa da un animale. Se decidete di vivere come un animale, allora, ovviamente, per voi non esiste né bene né male, perché un animale non ha alcuna conoscenza di questo genere di cose. Un gatto acchiappa i topi, ma non diciamo che commette il male, perché non ha concetti o conoscenza del bene e del male, del giusto e dello sbagliato. Questi esseri non rientrano nella cerchia degli esseri umani. Appartengono al regno animale. Il Buddha ha insegnato il Dhamma agli umani. Se non abbiamo moralità e conoscenza di questi aspetti, allora non siamo molto diversi dagli animali, dunque è appropriato studiare e imparare questi argomenti e diventarne esperti. Così si trae profitto dalla preziosa conquista dell’esistenza umana e la si porta a compimento.

Il Dhamma profondo insegna che la moralità è necessaria. Quando c’è etica, c’è un fondamento sulla cui base possiamo progredire nel Dhamma. Per moralità si intendono i precetti riguardo a quanto è proibito e quanto è permesso. Il Dhamma tratta della natura e della conoscenza umana della natura, cioè di come le cose esistono secondo natura. La natura non è qualcosa che creiamo noi. Esiste così com’è in accordo con le sue condizioni. Un esempio semplice sono gli animali. Una certa specie, per esempio i pavoni, nasce con i suoi comportamenti abituali e i suoi colori. Non sono stati creati così o modificati dagli esseri umani, sono semplicemente nati così in accordo con la natura. Non è che un piccolo esempio del funzionamento della natura.

Tutte le cose della natura esistono nel mondo; questo genere di discorso appartiene ancora a una comprensione dal punto di vista mondano. Il Buddha ci ha insegnato il Dhamma per conoscere la natura, per lasciarla andare e lasciare che esista secondo le sue condizioni. Questo discorso riguarda il mondo materiale esterno. Riguardo a nāmadhamma, la mente, non si può lasciarle seguire le sue condizioni. Va addestrata. In ultima analisi, possiamo dire che la mente è il maestro del corpo e della parola, dunque va ben addestrata. Lasciare che segua i suoi impulsi naturali fa di noi degli animali. Va istruita e addestrata. La mente dovrebbe arrivare a conoscere la natura, ma non essere lasciata semplicemente libera di seguire la natura.

Siamo nati in questo mondo e tutti noi sperimentiamo le afflizioni del desiderio, della rabbia e dell’illusione. Il desiderio ci fa bramare svariate cose e fa sì che la mente sia in uno stato di squilibrio e di agitazione. La natura è così. Non farà che lasciare che la mente segua gli impulsi del desiderio. Non condurrà che a collera e angoscia. E’ meglio addestrarsi nel Dhamma, nella verità.

Quando sorge in noi l’avversione, vogliamo esprimere la rabbia contro qualcun altro; possiamo arrivare al punto di aggredire o di uccidere. Ma non la ‘lasciamo semplicemente andare’ in accordo con la sua natura. Conosciamo la natura di quanto accade. Lo vediamo per quel che è e lo insegniamo alla mente. Questo è studiare il Dhamma.

Lo stesso accade con l’illusione. Quando sorge, le cose ci appaiono in modo confuso. Se lasciamo tutto così, restiamo nell’ignoranza. Dunque, il Buddha ci ha insegnato a conoscere la natura, a insegnare alla natura, ad addestrarla e adattarla, a conoscere esattamente cosa sia.

Per esempio, le persone nascono con una forma fisica e una mente. All’inizio questi aspetti nascono, a metà cambiano, e alla fine si estinguono. E’ un fatto ordinario; è la loro natura, non possiamo fare granché per cambiare questi fatti. Addestriamo la mente come possiamo e quando arriva il momento, dobbiamo lasciar andare tutto questo. E’ al di là della capacità degli esseri umani cambiarlo o superarlo. Il Dhamma insegnato dal Buddha è qualcosa da applicare mentre siamo qui, per rendere azioni, parole e pensieri corretti e appropriati. Significa che il Buddha insegnava alla mente delle persone in modo che non si illudessero riguardo alla natura, alla realtà convenzionale e alle opinioni. Il Maestro ci ha insegnato a vedere il mondo. Il suo Dhamma è un insegnamento al di sopra e al di là del mondo. Noi siamo nel mondo. Siamo nati in questo mondo, il Buddha ci ha insegnato a trascenderlo e a non essere prigionieri delle modalità e delle abitudini mondane. E’ come un diamante che cade in una pozza di fango. Per quanto sudiciume e sporcizia lo coprano, la sua radiosità non può essere distrutta, né i suoi colori e il suo valore. Anche se il fango lo ricopre, il diamante non perde niente, resta com’era in origine. Fango e diamante sono due cose separate.

Così il Buddha insegnò a essere al di sopra del mondo, il che vuol dire conoscere il mondo con chiarezza. Col termine ‘mondo’, infatti, non voleva indicare tanto la terra e il cielo e gli elementi, ma piuttosto la mente, la ruota del samsāra dentro il cuore delle persone. Voleva indicare questa ruota, questo mondo. E’ questo il mondo che il Buddha conosceva con chiarezza; è di questo che parliamo quando si parla di conoscere con chiarezza il mondo. Se si fosse trattato d’altro, il Buddha sarebbe andato di qua e di là, per ‘conoscere il mondo con chiarezza.’ Non si tratta di questo, ma di conoscere un solo punto. Tutti i dhamma si riducono a un solo punto. Come le persone, uomini e donne. Se osserviamo un solo uomo e una sola donna, conosciamo la natura di tutte le persone nell’universo. Non sono poi così diverse.

Oppure, vogliamo imparare a conoscere il calore. Se ne conosciamo un aspetto, la qualità dell’essere caldo, allora non importa quale sia la fonte o la causa del calore; la condizione del ‘caldo’ è questa. Conoscendo chiaramente questo solo aspetto, ovunque ci possa essere calore nell’universo, sappiamo che è così. Dunque, il Buddha conosceva un solo punto e perciò la sua conoscenza comprendeva il mondo. Sapendo che la freddezza è in un certo modo, quando incontrava la qualità della freddezza in qualunque luogo del mondo, la riconosceva. Insegnava un solo punto, per gli esseri che vivono nel mondo: a conoscere il mondo, a conoscere la natura del mondo. E a conoscere le persone, conoscere gli uomini e le donne, conoscere il modo di esistere degli esseri nel mondo. La sua conoscenza era così. Conoscendo un punto, conosceva tutte le cose. Il Dhamma che il Maestro esponeva mirava ad andare al di là della sofferenza. Ma cosa significa ‘andare al di là della sofferenza’? Cosa dovremmo fare per ‘sfuggire alla sofferenza’? E’ necessario fare uno studio, dobbiamo studiare i pensieri e le sensazioni nel nostro cuore. Tutto qui. Si tratta di qualcosa che al momento siamo incapaci di modificare. Se potessimo cambiarlo, saremmo liberi da ogni sofferenza e insoddisfazione nella vita, cambiando semplicemente quest’unico punto: la nostra abituale visione del mondo, il nostro modo di pensare e di sentire. Se riusciamo ad avere un nuovo senso delle cose, una nuova comprensione, allora trascendiamo le vecchie percezioni e comprensioni.

L’autentico Dhamma del Buddha non mira a qualcosa di lontano. Insegna riguardo ad attā, il sé, e che le cose non sono in realtà il sé. Ecco tutto. Tutti gli insegnamenti del Buddha dimostrano che " questo non è un sé, questo non appartiene a un sé, non esiste niente di simile a ‘noi’ o a gli ‘altri’." Ora, quando incontriamo questo insegnamento, non riusciamo veramente a leggerlo, non ‘traduciamo’ il Dhamma correttamente. Pensiamo ancora: "Questo è me, questo è mio." Ci attacchiamo alle cose e gli attribuiamo un significato. Quando lo facciamo, non riusciamo a districarcene; il coinvolgimento diventa più profondo e la confusione non fa che peggiorare. Se sappiamo che non c’è un sé, che il corpo e la mente sono in realtà anattā, come insegnò il Buddha, se continuiamo a investigare, alla fine arriveremo all’effettiva realizzazione dell’assenza di un sé. Comprenderemo veramente che non c’è né sé né altro. Il piacere è semplicemente piacere. La sensazione è semplicemente sensazione. La memoria è solo memoria. Pensare è solo pensare. Sono solo ‘semplicemente’ così. La felicità è semplicemente felicità; la sofferenza sofferenza. Il bene non è che bene; il male non è che male. Ogni cosa esiste semplicemente così. Non c’è vera felicità o vera sofferenza. Ci sono solo le condizioni che semplicemente esistono. Semplicemente felice, semplicemente doloroso, semplicemente caldo, freddo, semplicemente un essere o una persona. Dovreste continuare a osservare per vedere che le cose sono solo così. Solo terra, solo acqua, solo fuoco, solo aria. Dovremmo continuare a ‘leggere’ queste cose e a investigare questo punto. Alla fine, la nostra percezione cambierà; avremo una sensazione diversa riguardo alle cose. La ferma convinzione che ci sia un sé e cose che appartengono al sé gradualmente si dissolve. Quando questo senso del sé è finito, allora la percezione opposta continuerà costantemente a crescere.

Quando la realizzazione di anattā giunge a piena maturazione, sapremo relazionarci alle cose di questo mondo, ai nostri più cari possessi e coinvolgimenti, agli amici e alle relazioni, alle ricchezze, ai raggiungimenti e alla nostra posizione sociale, come fossero dei vestiti. Quando camicie e pantaloni sono nuovi, li indossiamo; si sporcano, e li laviamo; quando dopo un po’ si rompono, li scartiamo. Non c’è niente di strano, di continuo ci liberiamo di vecchie cose e usiamo nuovi indumenti. Riguardo alla nostra esistenza in questo mondo, avremo la stessa identica sensazione. Non piangeremo né ci lamenteremo per i fatti della vita. Non ne saremo tormentati né oppressi. Restano gli stessi fatti di prima, ma la nostra sensazione e comprensione di essi è cambiata. Ora la nostra conoscenza sarà elevata e vedremo la verità. Avremo raggiunto la suprema visione e l’autentica conoscenza del Dhamma che è necessario conoscere. Il Buddha insegnò il Dhamma che abbiamo bisogno di conoscere e di vedere. Dov’è il Dhamma che ci serve conoscere e vedere? E’ proprio qui dentro di noi, in questo corpo e mente. Ce l’abbiamo già; dobbiamo arrivare a conoscerlo e a vederlo.

Per esempio, tutti noi siamo nati in questo regno umano. Qualunque cosa conquistiamo qui, la perderemo. Abbiamo visto le persone nascere e le abbiamo viste morire. Lo vediamo accadere, ma non lo vediamo con chiarezza. Quando c’è una nascita, gioiamo; quando qualcuno muore, piangiamo. Non c’è una fine. Va avanti così e non c’è fine alla nostra stoltezza. Di fronte alla nascita, siamo sconsiderati. Di fronte alla morte siamo sconsiderati. C’è solo questa stoltezza senza fine. Proviamo a osservarla. Sono accadimenti naturali. Contemplate qui il Dhamma, il Dhamma che dovremmo conoscere e vedere. Questo Dhamma esiste proprio ora. Siate determinati. Esercitate la rinuncia e l’autocontrollo. Ora, siamo immersi nei fatti della vita. Non dovremmo aver paura della morte. Dovremmo temere i regni inferiori. Non abbiate paura della morte; piuttosto, temete di finire all’inferno. Dovreste aver paura di fare qualcosa di sbagliato mentre siete vivi. Sono vecchi temi che affrontiamo, non sono nuovi. Molte persone sono vive, ma non si conoscono affatto. Pensano: "Che importanza ha cosa faccio ora; non posso sapere cosa succederà quando muoio." Non pensano ai nuovi semi che creano per il futuro. Vedono solo il vecchio frutto. Si fissano sull’esperienza presente, non comprendendo che se c’è un frutto, deve provenire da un seme e i semi che sono dentro il frutto che abbiamo ora sono i semi del frutto futuro. Questi semi aspettano solo di essere piantati. Le azioni che nascono dall’ignoranza perpetuano in questo modo la catena, ma quando mangiate il frutto non pensate a tutte le implicazioni.

Ogni volta che la mente ha un forte attaccamento, proprio in quel momento sperimenteremo un’intensa sofferenza, una profonda angoscia, una forte difficoltà. Il luogo in cui sperimentiamo maggiori problemi è il luogo di cui abbiamo più attrazione, desiderio o interesse. Per favore, cercate di persuadervene. Ora, mentre ancora respirate e siete vivi, continuate a osservarlo e a leggerlo, finché non riuscite a ‘tradurlo’ e a risolvere il problema.

Qualsiasi cosa sperimentiamo come parte della nostra vita ora, un giorno, ne saremo separati. Dunque, non sprecate il tempo. Praticate la coltivazione spirituale. Scegliete questo allontanamento, questa separazione e perdita come oggetto di contemplazione, ora, nel presente, finché non diventate abili ed esperti, finché non lo trovate normale e naturale. Quando vi viene ansia o rammarico, abbiate la saggezza di riconoscere i limiti di quest’ansia e di questo rammarico, sapendo cosa sono alla luce della verità. Se riuscite a considerare le cose in questo modo, emergerà la saggezza. Ogni volta che c’è sofferenza, proprio lì, può nascere la saggezza, se investighiamo. Ma solitamente, le persone non vogliono investigare.

Dovunque accadano esperienze piacevoli o spiacevoli, lì, può sorgere la saggezza. Se conosciamo la felicità e la sofferenza per quel che veramente sono, allora conosciamo il Dhamma. Se conosciamo il Dhamma, conosciamo con chiarezza il mondo; se conosciamo il mondo con chiarezza, conosciamo il Dhamma.

In effetti, se qualcosa non ci piace, noi, di solito, non vogliamo conoscerla. Restiamo intrappolati nell’avversione. Se qualcuno non ci piace, non vogliamo vedere la sua faccia, né andargli vicino. E’ un segno di stoltezza, di incapacità; non sono i modi di una persona buona. Se qualcuno ci piace, allora, ovviamente, vogliamo stargli vicino, facciamo di tutto per stargli insieme, la sua compagnia ci fa piacere. Anche questa è stoltezza. Si tratta della stessa cosa, come il palmo e il dorso della mano. Quando giriamo la mano in su e ne vediamo il palmo, il dorso resta nascosto. Quando giriamo la mano dall’altra parte, è il palmo a restare nascosto. Il piacere nasconde il dolore e il dolore nasconde il piacere. L’errato nasconde il giusto e il giusto nasconde l’errato. Se consideriamo solo un lato, la nostra conoscenza non è completa. Finché siamo in vita, è bene fare le cose con interezza. Continuate a osservare, separando la verità dalla falsità, notando come sono realmente le cose, arrivando alla cessazione, raggiungendo la pace. Quando arriverà il momento, saremo capaci di concludere e di lasciar andare completamente. Ora dobbiamo cercare con fermezza di separare le cose e continuare a cercare di andare oltre.

Il Buddha ha dato insegnamenti sui capelli, le unghie, la pelle e i denti. Ha insegnato a separarli. Una persona che non sa creare separazioni sa solo tenerli attaccati a se stessa. Finché non ci siamo ancora separati da queste cose, dovremmo essere prudenti nel meditare su di esse. Non abbiamo ancora abbandonato questo mondo, dunque dovremmo essere accorti. Dovremmo contemplare molto, fare parecchie offerte caritatevoli, recitare le scritture, praticare tanto: sviluppare la visione profonda dell’impermanenza, dell’insoddisfazione e dell’assenza di un sé. Anche se la mente non vuole ascoltare, dovremmo continuare a separare le cose in questo modo e a conoscere nel presente. Possiamo farlo in modo molto preciso. Si può realizzare una conoscenza che trascende il mondo. Siamo invischiati nel mondo. Questo è un modo per ‘distruggere’ il mondo, contemplando e vedendo al di là del mondo, così da poterlo trascendere nel nostro essere. Anche mentre viviamo in questo mondo, la nostra visione può essere al di sopra di esso.

In un’esistenza mondana, creiamo sia il bene che il male. Noi cerchiamo di praticare la virtù e di rinunciare al male. Quando il bene risulta compiuto, non si dovrebbe restarne soggetti, ma riuscire a trascenderlo. Se non lo trascendete, diventate schiavi della virtù e dei vostri concetti di cosa sia il bene. Sarete in difficoltà e le vostre lacrime non avranno fine. Non importa quanto abbiate praticato il bene, se siete attaccati ad esso, ancora non siete liberi e le lacrime non avranno fine. Ma chi trascende il bene e il male non ha più lacrime da versare. Si sono asciugate. Sono finite. Dovremmo imparare a usare la virtù, non a esserne usati.

In sintesi, il punto nell’insegnamento del Buddha è di trasformare la propria visione. E’ possibile cambiarla. Basta osservare le cose e accade. Essendo nati, sperimenteremo l’invecchiamento, la malattia, la morte e la separazione. Queste cose sono qui presenti. Non c’è bisogno di alzare lo sguardo al cielo o di abbassarlo a terra. Il Dhamma che ci serve vedere e conoscere può essere scorto proprio qui dentro di noi, ogni attimo di ogni giorno. Quando qualcuno nasce, siamo colmi di gioia. Quando qualcuno muore, ci addoloriamo. E’ così che passiamo la vita. Queste sono le cose che ci serve conoscere, ma non le abbiamo veramente esaminate e non vediamo la verità. Siamo profondamente immersi nell’ignoranza. Chiediamo: "Quando vedremo il Dhamma?", ma è proprio qui, pronto per essere visto, nel presente.

Questo è il Dhamma che dovremmo imparare e vedere. E’ questo che insegnò il Buddha. Non parlò di dei, demoni e nāga, le divinità protettrici, dei semidei gelosi, degli spiriti della natura e via dicendo. Insegnò le cose che andrebbero conosciute e viste. Sono queste le verità che dovremmo essere capaci di comprendere. I fenomeni esterni sono così, rivelano le tre caratteristiche. Anche i fenomeni interni, cioè il corpo, sono così. La verità può essere vista nei capelli, nelle unghie, nella pelle e nei denti. Prima erano in pieno rigoglio. Ora vanno degenerando. I capelli diventano più sottili e ingrigiscono. E’ così. Ve ne accorgete? O dite che è qualcosa che non riuscite a vedere? Con una piccola investigazione dovreste riuscire di sicuro a vederlo.

Se proviamo un vero interesse verso tutto questo e lo contempliamo seriamente, possiamo arrivare a un’autentica conoscenza. Se fosse stato qualcosa di impossibile, il Buddha non si sarebbe preso la pena di parlarne. Quante decine e centinaia di migliaia dei suoi discepoli arrivarono alla realizzazione? Se si è veramente disposti a osservare le cose, si arriva a conoscerle. Il Dhamma è così.

Viviamo in questo mondo. Il Buddha voleva che conoscessimo il mondo. Vivendo nel mondo, è dal mondo che possiamo trarre la nostra conoscenza. Un attributo del Buddha è lokavidū, colui che conosce il mondo con chiarezza. Significa vivere nel mondo, ma non essere presi nelle vie del mondo, vivere in mezzo all’attrazione e all’avversione, ma non essere catturati nell’attrazione e nell’avversione. Si può parlare e spiegare tutto questo col linguaggio ordinario. E’ così che insegnò il Buddha.

Normalmente, parliamo in termini di attā, di sé, parlando di me e di mio, ma la mente può restare ininterrottamente nella realizzazione di anattā, l’assenza di un sé. Pensateci. Quando parliamo ai bambini, parliamo in un modo; quando abbiamo a che fare con gli adulti in un altro. Se usiamo parole adatte ai bambini per parlare con gli adulti o parole adatte agli adulti per i bambini, non sarà efficace. Per un uso appropriato delle convenzioni, dobbiamo sapere quando parliamo con dei bambini. Può essere appropriato parlare in termini di me e di mio, di te e di tuo e così via, ma interiormente la mente è Dhamma, dimora nella realizzazione di anattā. Dovreste avere questo fondamento.

In questo senso, il Buddha disse che dovreste prendere il Dhamma come fondamento, come base. Vivendo e praticando nel mondo, prenderete come base voi stessi, le vostre idee, desideri e opinioni? Non è giusto. Il Dhamma dovrebbe essere il vostro modello. Se prendete voi stessi come modello, vi rinserrate in voi stessi. Se prendete come modello qualcun altro, siete semplicemente infatuati da quella persona. Essere ammaliati da se stessi o da qualcun altro non è la via del Dhamma. Il Dhamma non tende verso nessuna persona e non segue la personalità. Segue la verità. Non si accorda semplicemente con le simpatie e antipatie delle persone; queste reazioni abituali non hanno niente a che fare con la verità delle cose.

Se riflettiamo veramente su tutto questo e investighiamo profondamente per conoscere la verità, allora intraprenderemo il sentiero corretto. E corretto diventerà il nostro modo di vivere. Il pensiero sarà corretto. Le nostre azioni e parole lo saranno. Dunque dovremmo veramente osservare tutto questo. Perché soffriamo? Per mancanza di conoscenza, perché non sappiamo dove le cose hanno inizio e dove fine, non comprendendo le cause; questa è ignoranza. Quando c’è questa ignoranza, sorgono vari desideri, e lasciandoci trasportare da essi, creiamo le cause della sofferenza. Allora, il risultato non può che essere la sofferenza. Quando raccogliete la legna e le avvicinate un fiammifero, se vi aspettate che non prenda fuoco, che probabilità avete? State creando un fuoco, non è vero? Questa è l’origine.

Se lo comprendete, allora la moralità nascerà di conseguenza. Nascerà il Dhamma. Dunque, preparatevi. Il Buddha ci consigliò di prepararci. Non c’è bisogno di nutrire chissà che preoccupazioni o ansie riguardo alle cose. Semplicemente osservate. Considerate il luogo senza desideri, il luogo senza pericolo. Nibbāna paccayo hotu, ha insegnato il Buddha: lasciate che sia una causa per il Nibbāna. Essere una causa per la realizzazione del Nibbāna significa osservare il luogo in cui le cose sono vuote, arrivate a maturazione, dove hanno raggiunto la fine, dove sono esaurite. Osservate il luogo dove non ci sono più cause, dove non c’è più né sé né altro, me o mio. Questa osservazione diventa una causa o condizione, una condizione per raggiungere il Nibbāna. Allora praticare la generosità diventa una causa per realizzare il Nibbāna. Ascoltare gli insegnamenti diventa una causa per realizzare il Nibbāna. Dunque, possiamo dedicare tutte le nostre attività del Dhamma perché diventino cause di Nibbāna. Ma se non abbiamo come meta il Nibbāna, se miriamo al sé e all’altro e all’attaccamento e al desiderio senza fine, questo non diventa una causa per il Nibbāna.

Quando abbiamo a che fare con gli altri ed essi parlano di sé, di me e di mio, di quel che è nostro, immediatamente siamo d’accordo con questo punto di vista. Immediatamente pensiamo: "Sììì, è proprio giusto!" Ma non è vero. Anche se la mente dice: "Giusto, giusto.", dobbiamo controllarci. E’ come un bambino che ha paura dei fantasmi. Mettiamo che anche i genitori ne abbiano paura. Ma non va bene che ne parlino; se lo fanno, il bambino sentirà di non avere protezione e sicurezza. "Ma no certo, il papà non ha paura. Non temere, c’è il papà. Non ci sono fantasmi. Non c’è niente di cui aver paura." Magari il padre ha davvero paura. Se cominciasse a parlarne, si agiterebbero tutti quanti per i fantasmi e salterebbero su e scapperebbero via, il padre, la madre e il bambino, e finirebbero per restare senza casa.

Questa non è intelligenza. Dovete osservare le cose con chiarezza e imparare a relazionarvi con esse. Anche quando sentite che le apparenze illusorie sono reali, dovete dirvi che non lo sono. Andate contro di esse. Insegnatevi interiormente. Quando la mente sperimenta il mondo in termini di sé, dicendo: "E’ vero", dovete riuscire a ribattere: "Non è vero." Dovete galleggiare al di sopra dell’acqua, e non restare sommersi dai flutti dell’abitudine mondana. L’acqua ci inonda il cuore, se rincorriamo le cose; guarderemo sempre quello che scorre? Ci sarà qualcuno che ‘guarda la casa’?

Nibbāna paccayo hotu: non si ha bisogno di mirare né di desiderare alcunché. Basta mirare al Nibbāna. Ogni sorta di divenire e di nascita, di merito e di virtù in senso mondano, non entra nel Nibbāna. Per crearsi meriti e un buon kamma, sperando di ottenere uno stato migliore, non abbiamo bisogno di desiderare un mucchio di cose; basta mirare direttamente al Nibbāna. Volendo sīla, desiderando la tranquillità, finiamo nello stesso vecchio punto. Non è necessario desiderare queste cose, dovremmo semplicemente desiderare il luogo della cessazione.

E’ così. A causa di tutto il nostro divenire e nascere, siamo tutti così tremendamente ansiosi riguardo a così tante cose. Quando c’è una separazione, quando c’è la morte, piangiamo e ci lamentiamo. Mi viene solo da pensare a quanto sia stolto. Di cosa piangiamo? Dove immaginate che se ne vadano le persone? Se sono ancora imprigionate nel divenire e nella nascita, non vanno via in realtà. Quando i figli crescono e si trasferiscono nella grande città di Bangkok, non smettono di pensare ai loro genitori. Non sentiranno la mancanza dei genitori di qualcun altro, ma dei loro. Quando ritornano, vanno a casa dei loro genitori, non di quelli di qualcun altro. E quando ripartono, continueranno a pensare alla loro casa qui a Ubon. Avranno nostalgia di qualche altro posto? Cosa pensate? Così, quando il respiro cessa e noi moriamo, non importa nel corso di quante vite, se le cause del divenire e della nascita continuano a esistere, la coscienza tende a cercare e a nascere in un posto che le è familiare. Penso che abbiamo troppa paura di tutto questo. Dunque, non piangete troppo su questi fatti. Riflettete. Kammam satte vibhajjati, il kamma conduce gli esseri nelle loro varie nascite, non vanno molto lontano. Si gira avanti e indietro lungo il ciclo delle nascite, ecco tutto, si cambia aspetto, apparendo con una faccia diversa la volta successiva, solo che non lo sappiamo. Si viene e si va, si va e si ritorna nel cerchio del samsāra, in realtà senza andare da nessuna parte. Si resta qui. Come un mango che viene fatto cadere dalla pianta, come una rete che non riesce a catturare il nido delle vespe e cade a terra: non vanno da nessuna parte. Restano lì. Il Buddha disse: Nibbāna paccayo hotu: fa che il tuo solo scopo sia il Nibbāna. Sforzati intensamente per raggiungerlo; non finire come il mango che cade a terra e non va da nessuna parte.

Trasforma così il senso che dai alle cose. Se riesci a trasformarlo, conoscerai una grande pace. Cambia, te ne prego; arriva a vedere e a conoscere. Ci sono cose che vanno viste e conosciute. Se vedi e conosci, dove hai mai bisogno di andare? Arriverà la moralità. Ci sarà il Dhamma. Non c’è niente di remoto; dunque, investiga.

Quando trasformi la tua visione, comprendi che è come osservare le foglie che cadono da un albero. Quando invecchiano e si fanno secche, cadono dall’albero. E quando arriva la stagione, rispuntano di nuovo. Si piange quando le foglie cadono, o si ride quando spuntano? Se lo facessi, saresti matto, no? E’ la stessa cosa. Se riusciamo a vedere le cose in questo modo, staremo bene. Sapremo che è solo l’ordine naturale delle cose. Non importa a quante nascite siamo sottoposti, sarà sempre la stessa cosa. Quando si studia il Dhamma, si arriva a una chiara conoscenza e si sperimenta una trasformazione della visione del mondo in questo senso, si realizza così la pace e la libertà dalla confusione riguardo ai fenomeni di questa vita.

Ma la cosa essenziale è che ora, in questo momento, abbiamo la vita. In questo momento sperimentiamo i risultati di azioni passate. La nascita degli esseri nel mondo è la manifestazione di azioni passate. La felicità o la sofferenza che gli esseri vivono nel presente è il frutto di quel che hanno fatto in precedenza. Nascono dal passato e vengono sperimentate nel presente. L’esperienza presente diventa inoltre la base per il futuro, in quanto creiamo ulteriori cause sotto la sua influenza e dunque l’esperienza futura ne è il risultato. Anche il movimento da una nascita all’altra accade in questo modo. Va compreso.

Ascoltare il Dhamma dovrebbe risolvere i vostri dubbi. Dovrebbe rendere chiara la vostra visione delle cose e cambiare il vostro modo di vivere. Quando i dubbi sono sciolti, la sofferenza può aver fine. Si smette di creare desideri e afflizioni mentali. Allora, qualsiasi cosa sperimentiate, se vi dispiace, non ne soffrirete perché ne conoscerete la mutabilità. Se vi piace, non ne verrete trascinati e intossicati, perché conoscete il modo appropriato di lasciar andare le cose. Mantenete una prospettiva equilibrata, perché comprendete l’impermanenza, e sapete come risolvere le cose in accordo col Dhamma. Sapete che le condizioni, sia buone che cattive, sono sempre in mutamento. Conoscendo i fenomeni interni, comprendete quelli esterni. Non attaccandovi all’esterno, non vi attaccate all’interno. Osservare le cose dentro di voi o al di fuori di voi è assolutamente la stessa cosa.

In questo modo, possiamo dimorare in uno stato naturale, che è fatto di pace e tranquillità. Se siamo oggetto di critiche, restiamo imperturbati. Se veniamo lodati, pure. Lasciate che le cose scorrano in questo modo, non lasciatevi influenzare dagli altri. Questa è libertà. Conoscendo i due estremi per quel che sono, si sperimenta il benessere. Non ci si sofferma in nessuno dei due punti. Questa è autentica felicità e pace, trascendere tutte le cose del mondo. Si trascende sia il bene che il male. Al di sopra di causa ed effetto, al di là di nascita e morte. Nati in questo mondo, si può trascenderlo. Al di là del mondo, conoscendo il mondo: questo è lo scopo dell’insegnamento del Buddha. Il suo obiettivo non era che le persone soffrissero, ma che raggiungessero la pace, che conoscessero la verità delle cose e realizzassero la saggezza. Questo è il Dhamma, conoscere la natura delle cose. Natura è tutto quel che esiste nel mondo. Non c’è bisogno di essere confusi a riguardo. Ovunque siate, si applica la stessa legge.

La cosa più importante è che mentre siamo vivi, dovremmo addestrare la mente a essere equanime nei confronti delle cose. Dovremmo essere capaci di condividere ricchezza e proprietà. Quando si presenta l’occasione, dovremmo darne una parte a chi ne ha bisogno, come se la dessimo a dei figli. Condividendo quel che abbiamo ci sentiamo felici e se riuscissimo a dar via ogni nostro avere, allora in qualsiasi momento il nostro respiro abbia fine, non ci sarà attaccamento o ansia perché tutto è già andato. Il Buddha ha insegnato a ‘morire prima di morire,’ a finire con le cose prima che le cose finiscano. Allora, potete essere a vostro agio. Lasciate che le cose s’infrangano prima di andare a pezzi, lasciate che finiscano prima di essere giunte alla fine. Questa è l’intenzione del Buddha nell’insegnare il Dhamma. Anche se ascoltaste gli insegnamenti per centinaia o migliaia di eoni, se non comprendeste questi punti, non riuscireste a sciogliere la vostra sofferenza e non trovereste la pace. Non vedreste il Dhamma. Ma comprendere queste cose secondo l’intenzione del Buddha ed essere in grado di risolverle è vedere il Dhamma. La visione delle cose può mettere fine alla sofferenza. Può alleviare ogni animosità e angoscia. Chiunque si impegna con sincerità ed è diligente nella pratica, chi continua e si addestra e si sviluppa pienamente, raggiungerà la pace e la cessazione. Ovunque sia, non avrà sofferenza. Che sia giovane o vecchio, sarà libero dalla sofferenza. In qualunque situazione si trovi, qualunque lavoro faccia, non soffrirà, perché la sua mente ha raggiunto il luogo dove la sofferenza si è esaurita, dove c’è pace. E’ così. E’ un fatto naturale.

Perciò, il Buddha disse di trasformare le proprie percezioni, allora ci sarà il Dhamma. Quando la mente è in armonia col Dhamma, il Dhamma entra nel cuore. Mente e Dhamma non sono più distinguibili. Coloro che praticano devono realizzare il cambiamento della propria visione e l’esperienza delle cose. L’intero Dhamma è paccatam (da conoscere personalmente). Non può essere dato da nessun altro; è impossibile. Se lo riteniamo una cosa difficile, sarà difficile. Se lo consideriamo facile, è facile. Chiunque lo contempli e veda quest’unico punto essenziale, non ha bisogno di conoscere chissà quante cose. Vedendo l’unico punto essenziale, vedendo la nascita e la morte, il sorgere e il passare dei fenomeni in accordo con la natura, si conoscono tutte le cose. Questo si intende per verità.

Questa è la via del Buddha. Il Buddha offrì i suoi insegnamenti perché voleva essere di beneficio a tutti gli esseri. Voleva che andassimo al di là della sofferenza e raggiungessimo la pace. Non dobbiamo aspettare di morire per trascendere la sofferenza. Non si deve pensare di superarla solo dopo la morte: possiamo andare al di là della sofferenza qui e ora, nel presente. Possiamo trascenderla all’interno della nostra percezione delle cose, proprio in questa vita, attraverso la visione della nostra mente. Allora, sedendo, siamo felici; stando sdraiati, siamo felici; dovunque siamo, siamo felici. Viviamo in modo irreprensibile, non sperimentiamo risultati negativi, siamo in uno stato di libertà. La mente è chiara, limpida e tranquilla. Non c’è più oscurità o contaminazione. Così è colui che ha raggiunto la suprema felicità della via del Buddha. Vi prego di farne oggetto di personale investigazione. Tutti voi discepoli laici, contemplate quanto ho detto per realizzare comprensione ed esperienza. Se soffrite, praticate per alleviare la sofferenza. Se è grande, rendetela piccola e se è piccola, portatela a termine. Tutti devono farlo personalmente, dunque fate uno sforzo per riflettere su queste parole. Che voi possiate fare progressi e crescere.

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